Nell'aprile del 1927 Chiang Kai-shek, in combutta con potenze imperialiste e borghesia compradora cinese, scatena la repressione contro i comunisti a Shanghai sancendo la fine del primo Fronte Unito rivoluzionario.
Una intera generazione di rivoluzionari comunisti viene spazzata via. Cade sotto i colpi dello squadrismo del Kuomintang tutto un reticolo di organizzazioni, leghe, sindacati e associazioni sorte dal 1921 nelle città come nelle campagne per opera di militanti e dirigenti del giovane partito comunista.
Questa pagina di violenza è all'origine di una riflessione all'interno del Partito - soprattutto per merito di Mao Zedong - che si rivelerà decisiva per il futoro della rivoluzione cinese: l'assoluta impreparazione militare dei comunisti ha reso fragile tutta l'organizzazione, privandola di ogni capacità di risposta di fronte ad un attacco feroce.
Così scriverà Mao dieci anni dopo a proposito del Partito comunista:
"Non comprese l’eccezionale importanza della lotta armata in Cina, non si occupò seriamente della preparazione alla guerra e dell’organizzazione dell’esercito, e non diede particolare importanza allo studio della strategia e della tattica militare. Durante la Spedizione del nord, trascurò di guadagnare alla propria causa l’esercito e, per contro, concentrò unilateralmente i suoi sforzi sul movimento di massa, con il risultato che tutto il movimento di massa crollò nel momento stesso in cui il Kuomintang divenne reazionario"
Il 1° agosto del 1927 a Nanchang parte delle truppe rivoluzionarie impegnate nella Spedizione al Nord - lanciata nel 1925 da Sun Yat-sen - si ammutinano per non partecipare alla repressione anticomunista e sotto la direzione di Zhou Enlai e Zhu De danno vita al primo nucleo dell'Esercito Rosso.
E il 1° agosto di quest'anno il Partito comunista cinese e il governo della Repubblica Popolare cinese, nel celebrare l'anniversario, hanno nuovamente sottolineato lo stretto legame tra Partito ed esercito e rivendicato la natura anche politica di quest'ultimo. Queste sono state le dichiarazioni di Wang Yongsheng, responsabile del Dipartimento politico generale dell'Esercito Popolare di Liberazione:
"L'Esercito Popolare di Liberazione è stato fondato dal Partito comunista cinese e sotto la sua direzione. Il controllo assoluto del PCC sull'esercito è il sistema e il principio fondamentale dell'esercito. [...] Il nostro esercito appartiene al Partito, e appartiene ugualmente al Paese e al popolo".
Lo scorso 8 giugno, a Perugia, è stata presentato il nuovo numero della Rivista di studi geopolitici EURASIA: l'evento ha registrato la presenza di Andrea Fais, uno dei due autori del libro, in qualità di relatore. L'intervento dell'autore ha compreso una rapida presentazione del libro nel quadro di una ricostruzione sintetica sulla global strategy della Cina in Africa e sulla politica di sicurezza della Repubblica Popolare nella regione autonoma cinese dello Xinjiang.
Di seguito il contributo audiovideo:
Lo scorso 23 giugno a Milano, invece, Diego Angelo Bertozzi, ha partecipato ad un evento organizzato dall'associazione culturale Primo Ottobre, dedicato alla Cina, dove è intervenuto per parlare della politica estera della Repubblica Popolare Cinese. Qui di seguito un suo resoconto dell'intervento pronunciato durante lo svolgimento della sessione.
DIFESA DELLA SOVRANITA’ E ASCESA PACIFICA: LA BASE DELLA
POLITICA ESTERA DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
Nel 1918 un giovane Mao, ancora
influenzato dalle idee anarchiche, fonda nello Hunan la Società di studio del
Popolo Nuovo. È una delle prime associazioni studentesche che si diffondono in
Cina alla vigilia del movimento antimperialista del 4 Maggio 1919. Quanto al
futuro della giovane repubblica cinese le idee sono già chiare: “Dovete sapere che gli stranieri vogliono
prendere le terre della Cina, vogliono prenderne il denaro e danneggiare il
popolo cinese. Non intendo vivere con questa prospettiva senza fare nulla,
quindi ora stiamo cercando di fondare una associazione per rendere forte la
Cina, in modo che i cinesi possano trovare una nuova strada. Il nostro scopo è
guardare al giorno della resurrezione della Cina”.
Alle spalle ci sono i fallimenti
dei tentativi di modernizzazione dell’Impero e lo stentato sviluppo della
rivoluzione repubblicana del 1911.
Questa citazione rende evidente come sia impossibile nel caso cinese
disgiungere movimento rivoluzionario e
movimento di liberazione nazionale, rivoluzione socialista e recupero della
dignità e dell’indipendenza. Il successo della rivoluzione condotta dai comunisti
deve essere valutato per ciò che è veramente stato: il ritorno della Cina alla
piena sovranità dopo un secolo di umiliazioni (1840-1949).
Il ricordo di essere stata
l’unica regione del Mondo in cui hanno operato tutti gli imperialismi della
storia moderna (la Cina come “ipocolonia” secondo la definizione di Sun
Yat-sen) e in cui è stato sperimentato l’intero campionario delle forme di
influenza straniera è ancora ben vivo nel discorso pubblico cinese e
soprattutto nell’autobiografia del Partito comunista cinese. Lo hanno
dimostrato da ultimo le due importanti celebrazioni che hanno caratterizzato il
2011: il 90° anniversario della fondazione del PCC e il 100° della Rivoluzione
di Xinhai che portò alla fine dell’impero.
In occasione del discorso
ufficiale il Presidente della Repubblica popolare Hu Jintao ha nuovamente
ancorato la storia del partito e della rivoluzione nella secolare lotta contro
la dominazione straniera. Il messaggio è quanto mai chiaro: i comunisti sono
gli eredi legittimi di quella lotta, ne hanno preso il testimone per portarla
al successo e ora continuano a difenderla: “La
nascita del partito comunista è il risultato logico dello sviluppo della storia
moderna e contemporanea della Cina e della ricerca ostinata del popolo cinese a
favore della salvezza nazionale. Da allora, la rivoluzione cinese ha trovato la
sua giusta traiettoria, il popolo cinese cominciò a dotarsi di una potente
forza morale e la Cina si è promessa ad un bell’avvenire”.
L’augurio che ha accompagnato la
nascita della Società di studio del Popolo Nuovo ha così trovato la via della
sua realizzazione.
Concludiamo questa premessa: i primi anni di vita vedono il Partito
comunista alleato con la borghesia nazionalista e progressista guidata da Sun
Yat-sen, in un Fronte unito che agisce con l’appoggio della Russia sovietica e
dell’Internazionale Comunista. Da Mosca era arrivato il messaggio di
solidarietà alle lotte di liberazione nazionale condotte dai popoli umiliati
dal colonialismo. Crediamo sia noto a tutti il discorso fatto da Mao al momento
della proclamazione, l’1 ottobre del 1949, della Repubblica popolare cinese, ma
riprenderne un passaggio ci permetterà di comprendere la seconda parte di
questo intervento: “Ci siamo uniti, con
la guerra di liberazione nazionale, abbiamo abbattuto gli oppressori interni ed
esterni […]. Da oggi il nostro popolo entra nella grande famiglia dei popoli di
tutto il mondo, amanti della pace e della libertà”.
Con queste premesse è facile
capire come la Cina popolare, consumata la rottura con l’Urss, abbia fatto
propria l’eredità della Conferenza di Bandung (1955) che sancì la nascita del
movimento dei non allineati e che rappresentava milioni di persone uscite dallo
sfruttamento colonialistico. È in quella storica riunione che viene
riconosciuto ad ogni Paese il diritto di essere arbitro esclusivo del proprio
destino ed è enunciato il principio del rispetto, nel comune impegno contro il
colonialismo, delle diverse vie di sviluppo scelte da ogni Paese in piena
sovranità.
I principi della coesistenza
pacifica che regolano la politica estera cinese altro non sono che l’assunzione
dei punti del consenso di Bandung: rispetto della sovranità e della integrità
territoriale, non aggressione, non ingerenza negli affari interni, parità e
reciproco vantaggio negli scambi commerciali.
Chiaro è il rifiuto della logica
bipolare della guerra fredda a favore di un equilibrio multipolare contro
qualsiasi di pretesa egemonica. Cosa intenda Pechino per pretesa egemonica lo
ha chiaramente espresso Deng Xiaoping in una intervista del 1982. Il perseguimento
dell’egemonia è il tratto distintivo di una superpotenza: “è superpotenza un Paese imperialista che ovunque fa subire agli altri
Paesi le sue aggressioni, i suoi interventi, il suo controllo, le sue imprese
di sovversione e di saccheggio. È un Paese che porta avanti un disegno di
dominio basato sulla forza”. E così
continua in relazione alla Cina: “Molti
amici chiedono che la Cina sia leader del Terzo Mondo, ma noi diciamo che la
Cina non può essere leader, altrimenti si farà dei nemici. Coloro che praticano
l’egemonismo sono screditati. Agire da leader del Terzo Mondo ci procurerà una
cattiva reputazione. Questa non è falsa modestia, ma una considerazione di
ordine politico”.
Era ormai alle spalle, quindi,
ogni logica di esportazione della rivoluzione.
Ora un salto in avanti per arrivare ai giorni nostri: nell’ottobre del 2011
Pechino ha pubblicato il Libro Bianco “La Cina e il suo sviluppo pacifico”,
sostanzialmente ignorato dalla nostra stampa, , ma che per rappresenta la base
della azione cinese per gli anni a venire sul palcoscenico internazionale. In
questo documento è ribadito che l’ascesa della potenza cinese ha carattere
pacifico e che lo sviluppo economico ha come fine quello dell’uscita completa
dal sottosviluppo e la garanzia di un benessere crescente della propria
popolazione. Un ambiente internazionale caratterizzato da cooperazione
internazionale e relazioni pacifiche è ritenuto fondamentale per la
prosecuzione dello sviluppo economico e sociale cinese. E ad essere ribadite
sono ancora le indicazioni di Deng e i principi di Bandung: “La Cina rifiuta di
gestire le relazioni con gli altri Paesi sulla base dei regimi sociali o dei
fattori ideologici. Essa rispetta il diritto degli altri popoli alla scelta del
loro sistema sociale e della loro via di sviluppo, non interviene negli affari
interni degli altri Paesi, si oppone a che in grande Paese maltratti un piccolo
Paese e che un Paese forte maltratti uno debole, e lotta contro l’egemonismo e
la politica del più forte”.
A riaffermare l’egemonia – con i
fatti che seguono puntualmente alle parole - sono invece gli Stati Uniti che
conducono una strategia di accerchiamento ai danni di Pechino. In occasione del
60° anniversario dell’ANZUS (alleanza militare tra Australia, Nuova Zelanda e
Stati Uniti), un ferro vecchio della strategia di contenimento del comunismo in
Asia, Obama ha rivelato la decisione di aprire una base di Marines a Darwin, in
Australia, entro la fine del 2012 – base che si aggiunge a quelle delle isole
Marshall, Guam e Okinawa - e dichiarato
con solennità che “chiuso un decennio segnato da due guerra sanguinose e
costose come Presidente ho preso la decisione strategica di rilanciare il ruolo
americano nell’area dell’Asia orientale e del Pacifico […]. Gli Stati Uniti
concentreranno qui i loro sforzi per ridefinire la regione e il suo futuro
sulla base dei principi che gli sono propri”.
Il riferimento alla ridefinizione
in base ai principi americani è l’ennesima riproposizione della tematica della
missione di civiltà e della vocazione universale della american way of life.
Non si scherza neppure da parte repubblicana se si tiene presente che Aaron
Friedberg (consulente già di Dick Cheney e poi di Mitt Romney) invita
apertamente a contrastare la sfida geopolitica di Pechino sia sul piano diplomatico
che su quello commerciale. Per lui Pechino deve capire che “non può separare Europa, Usa e le democrazie
asiatiche, deve sentire lo stesso messaggio da tutte le democrazie del mondo”.
Un programma che invita ad una sorta di crociata generalizzata anti-cinese;
minaccia che ricorda la missione di civiltà compiuta nel 1900 dalle potenze
imperialiste per schiacciare la rivolta dei Boxer.
All’inizio di giugno, in
occasione dell’Asia Security Summit di Singapore, il segretario alla Difesa
statunitense Leon Panetta ha nuovamente sottolineato che sicurezza e prosperità
degli Usa dipendono dalla situazione dell’Asia Pacifico e che gli Stati Uniti “sono parte della famiglia delle nazioni del
Pacifico”. Perché “nel corso della
storia abbiamo combattuto guerre, versato il nostro sangue e impiegato le
nostre forze per difendere i nostri interessi vitali nella regione. Lo dobbiamo
a tutti coloro che hanno combattuto e sono morti per costruire un futuro
migliore per tutte le nazioni in questa regione”.
Nel concreto come si sosterrà
questo impegno? Entro il 2020, sempre secondo le indicazioni del segretario
alla Difesa, la Marina Militare riposizionerà le sue forze tra Atlantico e
Pacifico da un rapporto di 50 a 50 a uno di 40 a 60; saranno rafforzati i
parternariati con diversi Paesi della regione (Giappone, Corea, Thailandia,
Filippine, Singapore e Vietnam) attraverso presenza di truppe, fornitura di
armamenti sofisticati e esercitazioni militari congiunte.
A fare da supporto alla pressione
diplomatico-militare persiste, anzi pare aumentare, una campagna di
demonizzazione anti-cinese che si alimenta della consueta retorica
diritto-umanità a difesa dei dissidenti e delle popolazioni tibetane e uigure,
presunte vittime di genocidio culturale e repressione. Il ritratto costruito è
limpido e netto: la Cina – tranne quando le si chiede di intervenire per
salvare l’economia internazionale – è l’emblema dello Stato totalitario
negatore di diritti (ovviamente per portare avanti questa operazione devo
essere espunti dal campo dei diritti umani quelli economico-sociali in merito
ai quali Pechino ha compiuto indubbi progressi).
E se la Cina è uno Stato
totalitario è ovvio che si schieri contro le aspirazioni alla libertà dei
popoli. Quando nel febbraio del 2012 Russia e Cina hanno posto il veto in
Consiglio di Sicurezza in merito ad una risoluzione sulla Siria tanto
sbilanciata da poter innescare l’ennesima aggressione militare, si è subito
guidato al fronte unito delle dittature contro la democrazia, evitando ogni
sorta di ragionamento sulle motivazioni di quella decisione e, soprattutto,
chiudendo gli occhi di fronte allo scempio commesso in Libia dalla cura
democratica della Nato.
Ebbene è facile comprendere la
posizione cinese proprio perché abbiamo chiarito i principi alla base della sua politica
estera e perché Pechino, dopo una discutibile astensione sulla risoluzione 1973
sulla Libia, ha subito preso posizione contro quello che ha definito “Nuovo
paradigma di interventismo umanitario”, grazie al quale per sovvertire un governo
sgradito non servono una invasione o una occupazione militare, ma è sufficiente
utilizzare e mobilitare movimenti di opposizione interna debitamente istruiti,
finanziati e armati (è a conoscenza di tutti, grazie anche alle rivelazioni
della stampa, quanto accade in Siria).
In un pregevole, quanto
condivisibile, intervento su Xinhua del settembre dello scorso anno, possiamo
leggere che “la guerra alla Libia è una ulteriore dimostrazione che l’Occidente
non esita ad intervenire negli affari interni di un Paese con ogni mezzo per
assicurare i suoi interessi nazionali. Se in questi ultimi anni ha fatti
ricorso a mezzi più o meno dissimulati di rivoluzione colorata per promuovere
la ‘democratizzazione’, la guerra di Libia è il modella della democratizzazione
realizzata direttamente con l’uso delle armi”.
Eppure la posizione cinese sulla
vicenda siriana è fin dall’inizio molto chiara: assoluta contrarietà a
qualsivoglia ipotesi di interventi armato per rovesciare un governo legittimo.
E, soprattutto, non si tratta di una posizione appiattita sul sostegno acritico
al governo di Assad. Non è, infatti, un segreto che Pechino veda come via di
soluzione l’avvio di riforme interne e l’apertura di un dialogo tra governo e forze di
opposizione nazionali e patriottiche (tra queste i comunisti).
Dall’altra parte c’è una
autonominatasi “comunità internazionale” , meglio conosciuta come “Amici della
Siria” che ha promesso di stanziare una somma di 276 milioni di dollari a
favore del Consiglio di transizione Siriano e del Libero esercito siriano e di
fantomatici aiuti umanitari per le popolazioni colpite dalla repressione
governativa. Tra gli aiuti umanitari figurano anche – come specificato dal
segretario di Stato Hillary Clinton – mezzi per testimoniare e far conoscere la
repressione. Insomma si tratta di sostenere una vera e propria guerra
informativa per sostenere una eventuale operazione d guerra!
Il quadro è chiaro: da una parte
stanno Paesi e potenze interessate ad attizzare il fuoco delle discordie
interne per giustificare una intervento “umanitario”, dall’altra ci sono Paesi
e potenze emergenti come la Cina che insistono per una soluzione interna
attraverso il dialogo.
Occorre sottolineare che la
posizione di Pechino è sostanzialmente condivisa dai Paesi come la Russia, il
Brasile, India e Sudafrica (che pare non facciano parte della comunità
internazionale). Nella risoluzione finale del quarto vertice dei BRICS (Delhi,
marzo-aprile 2012) si legge: “Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per
la situazione attuale in Siria e chiediamo la fine immediata di ogni violenza e
delle violazioni dei diritti umani in quel Paese. Gli interessi globali
sarebbero meglio serviti se si affrontasse la crisi con mezzi pacifici che
favoriscano ampi dialoghi nazionali che riflettano le legittime aspirazioni di
tutti i settori della società siriana e rispettino l’indipendenza siriana,
l’integrità territoriale e la sovranità. Il nostro obiettivo è quello di
facilitare un processo politico siriano inclusivo”.
Considerazioni simili si trovano
anche nel comunicato finale del vertice della Shanghai Cooperation Organization
(Pechino, giugno 2012): “Gli Stati membri del gruppo si Shanghai sono contro
un’interferenza militare negli affari interni della regione (Medio Oriente e
Nord Africa), sanzioni unilaterali e cambi di potere forzati. […] Gli Stati
membri sottolineano la necessità di fermare ogni violenza sul territorio
siriano, da qualsiasi parte essa venga, rispettano il dialogo nazionale, basato
sull’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità della Siria”.
D. A. Bertozzi – A. Fais, “Il Risveglio del Drago”, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2012
Le lusinghiere parole del Console Generale della
Repubblica Popolare Cinese, che ha paragonato “Il Risveglio del Drago”
nientemeno che al Milione di Marco Polo, rappresentano meglio
di tutte il gradimento che il lavoro dei due studiosi Andrea Fais e
Diego Angelo Bertozzi ha riscosso proprio nell’Anno del Drago cinese.
Il blog La Cina Rossa, sempre puntuale e calzante sull'analisi del sistema politico-economico della Repubblica Popolare, ha segnalato il nostro saggio in uno suo recente articolo. Ringraziando i gestori del sito, invitiamo tutti i lettori del nostro blog a visionare il sito La Cina Rossa. L'articolo è stato ripreso e pubblicato anche dal sito della rivista Marx21.
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"I compagni che volessero leggere l’intero discorso sopracitato, possono trovarlo nell’interessante e ben documentato libro di Diego Angelo Bertozzi ed Andrea Fais intitolato “Il risveglio del drago” (Edizioni all’insegna del Veltro)"
In occasione del novantesimo anniversario della fondazione del partito comunista cinese (PCC), il compagno Hu Jintao – segretario generale del partito comunista cinese – ha tenuto un importante discorso presso l’Assemblea Nazionale del Popolo a Pechino, il primo luglio del 2011.
Tale discorso ampiamente diffuso presso centinaia di milioni di cinesi dai mass-media locali, serve a demolire per l’ennesima volta sia la teoria secondo cui il PCC abbia abbandonato il marxismo e gli ideali comunisti dopo il 1976, che l’errata equazione Cina = capitalismo di stato.
Nel suo discorso il compagno Hu Jintao ha innanzitutto notato che “Oggi, noi siamo qui riuniti, con l’intero Partito e tutto il nostro popolo multietnico, per celebrare solennemente il 90° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese, per passare in rassegna la traiettoria di sviluppo del nostro paese, così come per esaminare le belle prospettive di sviluppo della Cina.
In questo stesso giorno, 90 anni fa, è stato fondato il Partito comunista cinese, fatto che costituì un grande avvenimento e che fece epoca nella storia della nostra nazione. Da allora, il popolo cinese si è impegnato in una via radiosa di lotta per l’indipendenza nazionale e la liberazione del popolo, avviando un percorso magnifico verso la prosperità del paese e l’acceso della popolazione ad una vita agiata.
Dopo 90 anni, insieme al popolo multietnico della Cina, i membri del Partito comunista cinese hanno combattuto valorosamente, al prezzo di enormi sforzi di diverse generazioni, per ottenere successivamente grandi successi nella rivoluzione, la costruzione socialista e la riforma in Cina. Oggi, una Cina socialista traboccante di vitalità si erge in Oriente in tutta la sua fierezza, e un miliardi e trecento milioni di cinesi avanzano, guidati dalla bandiera del socialismo alla cinese e pieni di fiducia, verso la grande primavera della nazione cinese.”
Inoltre il compagno Hu Jintao ha anche rilevato che “nel corso degli ultimi 90 anni” dal 1921 al 2011, la trasformazione della società socialista e il cambiamento del destino del popolo cinese, tanto per l’ampiezza e la profondità quanto per le loro ripercussioni politiche e sociali, costituiscono avvenimenti eccezionali nella storia dello sviluppo dell’uomo.
I fatti comprovano pienamente che tutto il lungo magnifico percorso dello sviluppo e del progresso della società cinese dopo l’epoca moderna, la storia e il popolo hanno scelto il Partito comunista cinese, il marxismo, la via socialista, la riforma e l’apertura.
I fatti provano senza dubbio che il Partito comunista cinese è degno di essere considerato un Partito marxista grande, glorioso e giusto e che è la forza centrale che dirige il popolo cinese nella creazione senza tregua di nuovi apporti in favore del socialismo.
Tutti i successi che abbiamo ottenuto nei 90 anni trascorsi sono i risultati degli sforzi ostinati e indefessi impiegati dai comunisti e dal popolo cinese attraverso generazioni successive. Il gruppo dirigente della prima generazione riunita attorno al compagno Mao Zedong ha unito e condotto tutto il Partito e l’intero popolo multietnico per condurre la rivoluzione di nuova democrazia fino ad una grande vittoria. Ha fatto del socialismo il regime fondamentale della Cina, ponendo anche, sul piano politico che istituzionale, delle solide basi sulle quali poggiano lo sviluppo e il progresso della Cina contemporanea. Il gruppo dirigente della seconda generazione riunito attorno al compagno Deng Xiaoping ha unito e condotto il Partito e l’intero popolo multietnico per impegnarsi nella grande via della riforma e dell’apertura. Da allora, la Cina ha proclamato l’avvento di una nuova era: quella dell’edificazione del socialismo alla cinese, e inaugurato un nuovo periodo di sviluppo della causa socialista nel paese. Riunito intorno al compagno Jiang Zemin, il gruppo dirigente della terza generazione ha saputo unire e condurre il nostro Partito e il nostro popolo multietnico nella prosecuzione della riforma e dell’apertura restando del tutto in linea con il suo tempo. Ha pilotato attraverso venti e maree la riforma e l’apertura nella giusta direzione ed è riuscito a mantenere uno slancio formidabile nella causa grandiosa del socialismo alla cinese fino la XXI secolo. Dopo il XVI° congresso, il Comitato centrale del Partito, unendo il Partito stesso e l’insieme del nostro popolo multietnico, e prendendo come guide ideologiche la teoria di Deng Xiaoping e l’importante pensiero della Tripla Rappresentatività, ha applicato in modo più completo il concetto di sviluppo scientifico, e si è promesso con instancabili sforzi alla promozione dello sviluppo scientifico e dell’armonia sociale, e continuato a spingere in avanti la ragguardevole costruzione del socialismo alla cinese nello sviluppo generale di una società di media agiatezza.
In occasione del 90° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese, noi ci ricordiamo con profondo rispetto dei rivoluzionari proletari della vecchia generazione: Mao Zedong, Zhou Enlai, Liu Shaoqui, Zhou De, Deng Xiaoping e Chen Yun. Essi hanno apportato un grande contributo alla rivoluzione all’edificazione e alla riforma in Cina, alla fondazione, al rafforzamento e all’evoluzione del Partito comunista cinese. Noi ci ricordiamo con lo stesso rispetto dei martiri della rivoluzione che hanno dato la loro vita per stabilire, difendere e costruire la Cina nuova, e, allo stesso odo, di tutti i precursori dopo l’epoca moderna che hanno lottato con ostinazione per l’indipendenza e la liberazione della nazione cinese. Che i loro contributi alla patria e alla nazione brillino eternamente nella nostra storia.”
Sul piano teorico il compagno Hu Jintao ha inoltre evidenziato che “il sistema teorico del socialismo alla cinese è una dottrina corretta che guida il nostro Partito e il nostro popolo sulla via del socialismo alla cinese per realizzare il grande rinnovamento della nostra nazione. Il nostro Partito, che ha saputo sempre combinare i principi fondamentali del marxismo con la realtà cinese, ha creato due grandi teorie nel corso del processo di sinizzazione del marxismo. Una è quella di Mao Zedong, che, in quanto marxismo-leninismo applicato e sviluppato in Cina, ha dato in maniera sistematica una risposta alla questione relativa al modo di compiere tanto la rivoluzione di nuova democrazia quanto la rivoluzione socialista in un vasto paese orientale semi-coloniale e semi-feudale, e ha proceduto a delle ricerche laboriose per sapere quale tipo di socialismo noi dovevamo costruire e come dovevamo farlo. Formulando delle idee innovatrici, essa ha arricchito il tesoro marxista con un nuovo apporto. L’altra è costituita dal sistema teorico del socialismo alla cinese. Essa è nei fatti un sistema scientifico creato a partire dalla teoria di Deng Xiaoping, dall’importante pensiero della Tripla rappresentatività e da una serie delle strategiche maggiori, tra le quali il concetto di sviluppo scientifico. In quanto prosecutore e sviluppo del pensiero di Mao Zedong, essa ha egualmente dato in maniera sistematica una risposta ad una seri di questioni importanti, quali “che tipo di socialismo si deve costruire in un grande paese in via di sviluppo come la Cina che conta più di un miliardo di abitanti?”, “come edificare il socialismo?”, “che tipo di partito dobbiamo costruire e in che modo dobbiamo farlo?”.
In quanto garanzia fondamentale dello sviluppo della Cina contemporanea, il regime socialista alla cinese mette in evidenza le caratteristiche della superiorità del socialismo alla cinese. Grazie alle sue capacità di auto-perfezionamento, è diventato nel corso del suo sviluppo un insieme completo ben coordinato che copre i campi economico, politico, culturale e sociale. Il regime politico fondamentale dell’assemblea popolare – completato dagli eventi essenziali che sono il sistema di cooperazione multipartitico e della consultazione politica sotto la direzione del Partito Comunista Cinese, l’autonomia delle regioni popolate da minoranze etniche e l’autogestione delle masse popolari alla base –, il sistema di legislazione socialista alla cinese, il sistema economico fondamentale caratterizzato dallo sviluppo comune dei diversi tipi di proprietà predominati dal settore pubblico, così come le regolamentazioni, economiche, politiche, culturali e sociali che sono basate su questo insieme e che sono più concrete, si adattano perfettamente alle realtà cinesi e alla tendenza generale nella nostra epoca, perché permettono di assicurare al nostro Partito e al nostro paese il loro dinamismo mobilitando l’entusiasmo, lo spirito di iniziativa e lo spirito creativo delle masse e di tutta la società, di stimolare uno sviluppo globale socio-economico liberando e sviluppando le forze produttive, di realizzare l’arricchimento comune di comune di tutta la popolazione preservando e promuovendo l’equità e la giustizia sociale, di affrontare efficacemente i diversi rischi e sfide della nostra marcia in avanti concentrando i nostri sforzi sull’esecuzione di progetti giganteschi, e infine, di preservare la solidarietà multietnica, la stabilità sociale e l’unità nazionale.
Marxismo come verità inconfutabile per il PCC, a patto che non si trasformi in un dogma vuoto. “Noi Comunisti Cinesi crediamo fermamente che i principi fondamentali del marxismo costituiscano una verità inconfutabile e che il marxismo deve essere costantemente arricchito e sviluppato in base ai cambiamenti nell’ambito della pratica, e non abbiamo mai concepito il marxismo come un dogma vuoto, rigido e stereotipato. Per il marxismo, la prassi è la fonte della teoria, la base per il suo sviluppo, e il criterio per testarne la verità. Tutte le azioni che si legano a un dogma, che ignorano la pratica, o che si astraggono e restano indietro rispetto alla vita reale non avranno successo. Abbiamo commesso degli errori e abbiamo subito persino gravi battute d’arresto in alcuni periodi storici, e la loro causa principale è risieduta nel fatto che i principi-guida del Partito a quel tempo erano separati dalle condizioni reali della Cina.”
Quasi rispondendo a coloro che accusano il PCC di aver abbandonato il marxismo ed il comunismo, il compagno Hu Jintao ha anche sottolineato che “ogni passo in avanti nell’innovazione teorica dovrebbe essere accompagnato dal progresso nell’abilità di dotarsi di tale innovazione da parte dei membri del Partito. È un esperienza importante che il Partito ha costruito per migliorare se stesso. Per costruire un partito marxista politico impegnato nello studio, sarà necessario non perdere tempo (e darsi da fare, ndt) nello studio delle informazioni scientifiche, delle nuove idee e delle nuove conoscenze nella società umana. Tutti i membri del Partito e i quadri dovrebbero interpretare l’apprendimento come una ricerca intellettuale, studiare in senso stretto e padroneggiare il Marxismo-Leninismo-Pensiero di Mao Zedong e le teorie del socialismo con caratteristiche cinesi, promuovere una visione del mondo e la metodologia del materialismo dialettico e del materialismo storico, e coltivare genuinamente le virtù, aumentare la conoscenza e migliorare le competenze attraverso l’apprendimento. Tutti i compagni del Partito, soprattutto i quadri dirigenti di Partito a tutti i livelli, devono costantemente migliorare se stessi sia ideologicamente che politicamente, rafforzare i nostri ideali e le nostre convinzioni, e rinvigorire il nostro desiderio e la nostra volontà di lavorare instancabilmente per la causa del partito e del popolo. Dobbiamo essere pienamente impegnati affinché ci sia possibile garantire di restare fermi e fedeli nelle nostre azioni.”
I compagni che volessero leggere l’intero discorso sopracitato, possono trovarlo nell’interessante e ben documentato libro di Diego Angelo Bertozzi ed Andrea Fais intitolato “Il risveglio del dragone” (Edizioni all’insegna del Veltro).
Sabato 18 febbraio è andata in archivio il seminario di presentazione de Il Risveglio del Drago, organizzato dalla Rivista Eurasia, che ha registrato relatori di primo livello, tra cui il Console Generale della Repubblica Popolare Cinese, Sig.ra Cai Wen, che ha auspicato per il nostro libro un successo ed una popolarità determinante, facendo addirittura riferimento al "Milione" di Marco Polo. E' poi intervenuto via telefono, Andrea Fais, co-autore del libro, a cui hanno fatto seguito il dott. Marco Costa, la prof. essa Bettina Mottura, docente universitario presso l'ateneo milanese, dell'Istituto Confucio, oltre alla vivace moderazione del direttore della Rivista, Claudio Mutti.
La Rivista di Studi Geopolitici "Eurasia" organizza per il giorno sabato 18 febbraio alle ore 15:30, presso la sala consiliare di Via Sansovino 9 a Milano, un incontro dal titolo "Il Risveglio del Drago, politica e strategie della rinascita cinese", dedicato al libro omonimo. Saranno presenti il direttore editoriale della Rivista, Prof. Claudio Mutti, la dott.essa Bettina Mottura dell'Istituto Confucio, Li Pengfei, addetto commerciale consolare della Repubblica Popolare, e Marco Costa, saggista ed esponente del Partito della Rifondazione Comunista. Andrea Fais, coautore del libro, causa la lunga distanza e l'impossibità di raggiungere e sostare nel capoluogo milanese, interverrà telefonicamente introducendo l'opera, sostituendo così l'intervento programmato in origine di Diego Angelo Bertozzi.
La Cina, sempre più prossima ad assumere tutti i connotati di una super-potenza mondiale, potrebbe entro quindici anni riuscire a raggiungere una prima, sostanziale parità economica e strategica con gli Stati Uniti. Al di là delle facili analogie storiche e di conclusioni fin troppo sbrigative, la Guerra Fredda ipotetica del futuro avrà caratteristiche molto diverse da quella del Novecento tra Washington e Mosca. La Cina non gode certo di una situazione favorevole come quella che, sul piano geografico, energetico e demografico, consentì all’Unione Sovietica di fuoriuscire dalla tragedia umana e politica della Seconda Guerra Mondiale, con una gigantesca affermazione da grande potenza internazionale.